martedì 22 dicembre 2020

I contagi del Nord-Est: cittadini imprudenti, tamponi rapidi antigenici utilizzati in modo improprio oppure è già arrivata la variante inglese?

Questo periodo dell'Avvento è stato caratterizzato da un calo dei nuovi contagi che  - complessivamente - è meno rapido di quanto sarebbe stato auspicabile. L'indice di trasmissione del contagio (dato nazionale) nella seconda metà del mese di novembre era sceso sotto la soglia critica R = 1. A fine novembre sembrava calare ancora puntando verso quota 0,75, ma nelle ultime settimane assistiamo ad una inversione di tendenza con l'indice che si riavvicina pericolosamente ad 1. 

Andando a vedere come vanno le cose a livello regionale, notiamo che il Nord-Est è la parte d'Italia più colpita dal contagio. Il dato del Veneto è ben noto ed è stato oggetto di interessanti analisi che sono apparse su diversi quotidiani nazionali. Il dato ufficiale dei contagi in Trentino è apparentemente migliore rispetto a quello del Veneto, ma sappiamo che si tratta solo di una "illusione ottica" perché i dati ufficiali del Trentino trascurano gran parte dei positivi antigenici.

Se guardiamo la densità dei decessi, Friuli V. G., Trentino e Veneto occupano 3 delle prime 4 posizioni di questa triste classifica. Al terzo posto troviamo la piccola Valle D'Aosta che sta scontando gli strascichi di alcuni intensi focolai epidemici registrati durante lo scorso mese di novembre.

La seconda ondata pandemica è stata fin qui caratterizzata da andamenti fortemente differenziati a livello territoriale. All'inizio sembrava che il contagio colpisse principalmente le Regioni del Centro-Sud. Poi tutto il Nord Italia è diventato la zona con la maggiore circolazione del virus e, nel corso delle ultime settimane, sembra che il Nord-Est sia la zona più colpita. Un caso? Ci sono ragioni che possono spiegare quello che sta accadendo?

Le ipotesi si accavallano e, senza prove solide, è difficile adottare l'una o l'altra spiegazione. Al momento disponiamo solo di indizi, anche se non sarebbe difficile procurarsi prove più consistenti.

Procedendo con ordine vediamo alcune delle possibili cause che potrebbero essere invocate per spiegare i recenti dati del Nord-Est (notate che l'una non esclude necessariamente l'altra e non è detto che la causa principale sia la stessa per tutti i territori):

  1. Veneto e Trentino sono state tra le pochissime Regioni/PPAA restate sempre zona gialla. Nel caso del Trentino sappiamo cosa è stato fatto per ottenere questo risultato. Il Veneto i suoi dati li ha sempre comunicati regolarmente, ma c'è da domandarsi se il "barocco" sistema dei 21 indicatori ministeriali fosse effettivamente adeguato per cogliere le eventuali criticità. Personalmente ritengo che il sistema dei 21 parametri sia lacunoso ed inconsistente, facilmente aggirabile con banali manipolazioni dei dati. Ma questa è solo la mia opinione. La permanenza in zona gialla - aldilà della mancata attivazione di specifiche restrizioni - potrebbe aver fatto percepire ai cittadini una idea falsata della pandemia. Poiché sappiamo che, oltre alle limitazioni imposte per decreto, la circolazione del virus dipende criticamente dalle scelte e dai comportamenti individuali, avere creduto che la situazione fosse tutto sommato discreta potrebbe aver indotto molte persone a comportamenti imprudenti.
  2. La seconda spiegazione potrebbe essere legata al grande uso (e, a mio avviso, talvolta all'abuso) dei tamponi antigenici rapidi. Alla fine dello scorso mese di ottobre Azienda Zero, braccio operativo della Regione Veneto ha gestito un maxi appalto pari a 148 milioni di Euro per l'acquisto di tamponi rapidi antigenici che, in parte sono andati anche a Friuli V. G., Trentino, Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte e Lazio. Come siano stati distribuiti i tamponi rapidi e quale uso ne sia stato fatto non sono in grado di dirvelo. Nel caso del Trentino e del Veneto sappiamo che sono diventati lo strumento di punta per la ricerca dei positivi, anche se il Veneto, a differenza del Trentino, ha continuato a confermare i positivi antigenici con il test molecolare. Come ho già avuto modo di discutere in un post precedente i tamponi rapidi antigenici funzionano bene per confermare la positività di persone sintomatiche, soprattutto quando c'è l'evidenza epidemiologica del contagio. Se i tamponi rapidi si usano per cercare "alla cieca" positivi asintomatici la loro efficacia è senz'altro minore, con il rischio, in alcuni casi, di intasare i sistemi di rivelazione con falsi positivi. In estrema sintesi, un uso inappropriato dei tamponi rapidi antigenici potrebbe lasciare in giro molti positivi con carica virale medio-bassa, magari solo perché al momento in cui avevano fatto il tampone erano nella fase iniziale dello stato virologicamente positivo. Tutte persone che possono contagiarne altre, illuse anche del fatto di essere risultate negative al test rapido. Mi risulta che in Veneto i tamponi rapidi siano stati usati anche per testare lo stato delle persone che lavorano negli ospedali. Francamente non mi sembra una grande idea!
  3. La terza spiegazione è che esista una qualche connessione con quello che a dicembre è accaduto nel Sud-Est dell'Inghilterra e che la variante inglese di SARS-CoV-2 sia già ampiamente diffusa anche nel Nord-Est italiano. Qualcuno oggi faceva vedere la curva dei contagi del Veneto mostrando la forte similitudine con l'andamento recente dei dati inglesi. Purtroppo il sistema sanitario italiano non è ben attrezzato come quello britannico per la mappatura dei genomi virali. Abbiamo ottime Università e Laboratori specializzati, ma - a differenza di quanto accaduto in Gran Bretagna - non è mai stato fatto un piano nazionale per coordinare (e finanziare) tali attività. I sequenziamenti vengono fatti da diversi laboratori, ma sono il risultato di iniziative sporadiche, talvolta sottovalutate dalle stesse Autorità sanitarie che dovrebbero sostenerle. Forse qualche burocrate è convinto che sequenziare i genomi virali sia una attività di mero interesse accademico, utile solo per generare qualche pubblicazione scientifica. Non è così. I dati forniti dal sequenziamento sono fondamentali per seguire le possibili mutazioni del virus, ma anche per capire le dinamiche del contagio. La gestione dei focolai virali più pericolosi potrebbe trarre un grande giovamento dalla conoscenza di questi dati (ammesso e non concesso che gli addetti al tracciamento sappiano come fare ad utilizzarli). Ai nostri amici d'oltremanica va dato atto che senza il programma sostenuto dal Governo britannico, difficilmente sarebbe stato possibile conoscere i dettagli sulla comparsa della variante inglese di cui oggi disponiamo.

Esaurito l'elenco delle ipotesi, vediamo quali potrebbero essere le indagini necessarie per cercare di capire meglio cosa stia succedendo nel Nord-Est. Certamente è prioritario recuperare il tempo perduto nel sequenziamento dei virus che circolano a livello nazionale. Non avevamo neppure un piano per affrontare la pandemia e sarebbe ingenuo sperare che l'Italia si doti in tempi brevi di un piano per monitorare la filogenesi virale sul territorio nazionale. Speriamo che, almeno in parte, sia possibile recuperare una serie di dati affidabili senza i quali qualsiasi discussione sarebbe inutile. Rischiamo di ripetere l'errore fatto questa estate quando molti sostenevano che il virus fosse "clinicamente morto" senza mostrare alcuna evidenza di una qualche mutazione virale che potesse sostenere le loro fantasiose ipotesi.

L'altro aspetto legato all'uso (o all'abuso) dei test rapidi antigenici richiederebbe un lavoro di tracciamento accurato dei contagi andando a verificare se nella rete di relazioni dei nuovi contagiati ci siano soggetti risultati recentemente negativi ad un tampone antigenico. Solo ricostruendo accuratamente un consistente numero di catene di contagio potremmo ottenere informazioni utili per capire se l'ipotesi sia valida oppure no.

L'ipotesi legata alla permanenza in zona gialla è più difficile da provare, anche perché il miscuglio incredibile di regole giallo/arancio/rosse che si sono sovrapposte durante gli ultimi due mesi rende la situazione molto complessa e difficilmente decifrabile. Potrebbe essere interessante vedere l'andamento di contagi nelle Regioni che hanno fatto un cambio di "colore", integrando questi dati  con i big data relativi alla mobilità delle persone (quelli che regaliamo a Google & Co. muovendoci con i nostri smartphone in tasca). In altre parole, l'idea sarebbe quella di verificare quanto il colore assegnato alle Regioni/PPAA abbia influito sulla mobilità delle persone e sulla loro frequentazione di spazi pubblici chiusi ed affollati. Correlando questo dato con l'andamento dei contagi potremmo trarre indicazioni utili per capire l'efficacia dei vari interventi stabiliti dai decreti della Presidenza del Consiglio.

Soltanto disponendo di dati più completi potremmo azzardare qualche ipotesi conclusiva. Per il momento il problema è aperto.

3 commenti:

  1. Forse potrebbe essere il caso di inserire anche la vicinanza con nazioni che alla data attuale sono ai vertici europei come contagiati in relazione alla popolazione:
    Serbia
    Croazia
    Slovenia
    Montenegro.
    Credo che le relazioni lavorative di Veneto e Friuli con questi territori non siano proprio trascurabili.
    Ma sicuramente non è tra le cause principali dei numeri del Triveneto che vanno ricercate in quello che lei ha detto. Con l'occasione le porgo i migliori auguri di buon Natale.

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    1. Probabilmente c'è anche questo effetto.I forti scambi commerciali che non si sono mai interrotti (anceh a causa della presenza in quei Paesi di imprese che hanno la casa madre in Italia, ed - in particolare - nel Nord-Est. Senza dimenticare gli scambi legati alla presenza in Italia di lavoratori provenienti da quei Paesi.

      Sono tutte ipotesi credibili che vanno valutate.

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  2. Se si guarda la mappa dei contagi in ambito provinciale in Veneto mi sembra di guardare una cartina che specifica la presenza di piccole e medie imprese nelle diverse aree. Questo premesso mi chiedo quale sia il livello di correlazione in questa regione tra diffusione della pandemia ed il fattore lavoro. Da evidenziare che per me fanno parte del fattore lavoro anche i trasporti legati a persone e merci ed anche le relazioni sociali che si sviluppano al contorno dell’attività lavorativa (ristorazione, aperitivi etc).

    Sarebbe interessante capire se vengono fatte analisi dei dati che mettono insieme informazioni relative all’anagrafica ed allo stato sanitario dei lavoratori limitatamente al contagio ( immagino in mano alle Regioni ed a livello più aggregato da parte del Ministero della Salute) con le informazioni seguenti che dovrebbero essere di dominio dell’Agenzia delle Entrate, di INPS e di ISTAT:

    - tipologie delle aziende ( codici Ateco) e loro localizzazione

    - ruoli ricoperti in azienda dai singoli lavoratori

    - assenze per malattia

    - Informazioni relative alla residenza dei lavoratori

    - etc

    Mi domando quale è il soggetto istituzionale che a rigor di logica dovrebbe avere a disposizione tutti questi dati per elaborarli e produrre studi che potrebbero risultare molto utili.

    Sicuramente un ostacolo sono i vincoli legati alla privacy che possono porre significative limitazioni.

    Stante la litigiosità tra Stato e Regioni credo però che si perdano molte opportunità conoscitive che potrebbero scaturire da una adeguata analisi delle informazioni disponibili.

    Spero di sbagliarmi. Mi fermo qui.

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