Di fronte al dilagare della pandemia di Covid-19, le RSA sono apparse fin da subito come luoghi particolarmente critici. Le RSA ospitano persone molto anziane le cui condizioni generali sono sovente segnate da una o più patologie pregresse. La situazione è resa ancora più complicata a causa di modelli organizzativi talvolta obsoleti che rendono difficile il rapido isolamento delle persone positive.
Durante la prima ondata pandemica circa metà delle RSA trentine sono state duramente colpite dal contagio. I lettori di questo blog ricorderanno le pressanti richieste (mai completamente soddisfatte) per accedere ai veri dati dei contagi e dei decessi avvenuti nelle RSA trentine. Allora si preferiva rispondere che “tanto sarebbero morti comunque entro poche settimane”, affermazione non dimostrata perché la Provincia non ha mai rivelato i dati sui tempi di ricovero dei deceduti che avrebbero permesso di condurre una analisi statistica sui mesi/anni di vita effettivamente persi da coloro che erano deceduti nei mesi di marzo/aprile.
Durante la scorsa estate abbiamo assistito alle proteste dei parenti che lamentavano le forti restrizioni all’accesso che rendevano ancora più dura la vita degli anziani ospiti. Un grande problema di non facile soluzione. Pochi giorni fa il Ministero della Salute ha rilasciato una circolare nella quale si fa il punto sulle misure da adottare per gestire al meglio l’accesso dei parenti nelle RSA. In particolare, vengono date indicazioni sull’utilizzo di test rapidi antigenici per evitare l'accesso di persone in grado di contagiare gli ospiti. Una soluzione già praticata in altre Regioni che richiede comunque una organizzazione abbastanza complessa e risorse non sempre facilmente disponibili.
Nel documento ministeriale si ribadisce che per lo screening periodico di coloro che stanno a stretto contatto con gli ospiti è indispensabile ricorrere alla somministrazione di tamponi molecolari. A questo proposito ricordo che gli screening periodici – anche se fatti con i sensibili tamponi molecolari – non riescono sempre ad individuare tutti i pre-sintomatici. Per ridurre i rischi al minimo bisognerebbe fare un tampone molecolare ogni due giorni, ma la cosa è tecnicamente impossibile (ci vorrebbero tutti i tamponi molecolari che il Trentino riesce a fare). La scelta – forzatamente di compromesso – è stata quella di ridurre la frequenza ad 1 tampone molecolare settimanale.
Durante la scorsa estate – quando la circolazione del virus si era quasi azzerata – i controlli si facevano ogni due settimane, ma poi a settembre quando bisognava controllare i lavoratori stagionali della frutta e gli insegnanti in vista della ripresa delle Scuole, APSS Trento decise di diluire i tamponi molecolari riducendoli, nella maggior parte delle RSA, ad un solo tampone al mese. Fatalmente, il virus si è subito infiltrato causando molti contagi e dolorosi lutti a cominciare da una RSA del Pinetano.
La situazione attuale nelle RSA trentine è difficile da valutare a causa della mancanza di dati aggregati su contagi e decessi. Durante le conferenze stampa quotidiane vengono comunicati i "numeri del giorno", ma non c'è una base dati completa ed accessibile. L'unica informazione che viene diffusa è quella dei contagi, ma non sappiamo quanto questi dati siano stati alterati durante lo scorso mese di novembre dalla bizzarra decisione di APSS Trento di togliere dalle statistiche ufficiali migliaia di contagiati (spesso sintomatici) ritardando i tempi del tampone molecolare di conferma (che diventa fatalmente tampone di verifica di un ritorno alla negatività). Con tutte le cautele del caso, si nota che il contributo degli ospiti delle RSA ai contagi che stanno avvenendo in Trentino mostra una crescita significativa:
L'andamento mostrato in figura, pur in presenza di forti fluttuazioni statistiche, mostra un progressivo aggravamento della situazione. Segno che non è il momento di fare azzardi e di abbassare la guardia nella difesa delle RSA dal virus.
Alla luce delle precedenti considerazioni, appare particolarmente significativa la recente decisione di APSS Trento di sospendere lo screening periodico del (numeroso) personale delle RSA che ha già fatto la Covid-19 (a meno che non ci siano sintomaticità). L’idea di fondo – pare di capire – sarebbe quella di contare sull’immunità indotta dalla precedente malattia, escludendo che queste persone si possano reinfettare.
L’ipotesi appare un po’ azzardata alla luce dei numerosi casi di reinfezione riportati dalla letteratura scientifica. D’altra parte i test sierologici fatti in alcuni comuni del Trentino hanno dimostrato che una quota significativa (25% circa) di coloro che avevano fatto la Covid-19 durante la prima ondata pandemica ormai non presenta più una rilevabile presenza di anticorpi. Questo dato può essere letto come il classico “bicchiere mezzo pieno oppure mezzo vuoto”. È ben vero che il 75% ha ancora gli anticorpi, ma il 25% non li ha più.
A mio avviso - la scelta di APSS avrebbe senso se il personale delle RSA del Trentino che ha fatto la Covid-19 fosse sottoposto a test sierologico una volta ogni due-tre mesi e solo coloro che possiedono ancora anticorpi specifici per il SARS-CoV-2 fossero esclusi dagli screening settimanali. Sarebbe una scelta meno azzardata e consentirebbe comunque di ridurre sensibilmente il carico di tamponi molecolari dedicato agli screening del personale delle RSA.
Altrimenti è come giocare alla roulette russa riempendo il caricatore con due colpi su otto.
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