sabato 19 dicembre 2020

Le lezioni della pandemia che non abbiamo ancora imparato

È passato circa un anno dall’inizio della pandemia di SARS-CoV-2 e, nell’attesa che vaccini e nuovi farmaci riescano finalmente a risolvere la crisi sanitaria, sociale ed economica che ci ha travolto, può essere utile ripensare ai tanti errori che abbiamo fatto fino ad oggi e che – purtroppo – continuiamo a fare. Ne elenco alcuni, non necessariamente in ordine di importanza.

  1. Nessuno può illudersi di uscire dalla pandemia da solo. È lapalissiano osservare che la pandemia – per la sua stessa natura – non può essere pensata come il problema di una singola Nazione. Il contagio si propaga a livello mondiale con ondate che vanno e vengono. Anche quei Paesi che oggi si trovano ad un livello di contagi basso (se non addirittura nullo) sono sempre a rischio. L’ampiezza delle ondate che colpiscono i diversi Paesi varia a seconda della loro capacità di controllare la progressione del virus e di assistere i malati di Covid-19, ma il rischio di re-importare il virus da qualche altra Nazione è sempre alto. L’unica soluzione (facile da dire, ma praticamente impossibile da praticare) sarebbe quella di blindare i confini impedendo qualsiasi spostamento da e verso i Paesi esteri. Senza contare che potrebbe esserci la possibilità, piccola, ma non nulla, che il virus si sposti assieme ad alcune merci come, ad esempio, i cibi surgelati. Fino a che i vaccini non saranno effettivamente disponibili per tutti i Paesi, inclusi quelli più poveri, nessuno potrà dirsi veramente al sicuro.
  2. Pensare di privilegiare l’economia anche se ci costerà qualche vita umana in più è una idiozia soprattutto dal punto di vista economico. Ricorderete la recente uscita di un esponente di Confindustria Marche (prontamente dimessosi). La stessa cosa la diceva, all’inizio della pandemia, il premier britannico BoJo, salvo ricredersi prontamente quando ha rischiato di diventare lui stesso un “ricevente prematuro” dell’estremo saluto da parte dei suoi cari. La Svezia che aveva cercato di seguire questa strada ha dovuto amaramente ricredersi come è stato autorevolmente riconosciuto dal re Carlo Gustavo. Lascio da parte qualsiasi considerazione di natura etica e vorrei concentrarmi esclusivamente sugli aspetti economici. Lasciar circolare il virus significa fatalmente riempire gli ospedali e le terapie intensive. Notate che molti dei grandi anziani che muoiono prematuramente, in ospedale non ci arrivano mai. Molti muoiono nelle RSA o nelle loro abitazioni private perché le loro condizioni sono talmente gravi da non garantire una ragionevole probabilità di guarigione anche in caso di ricovero in terapia intensiva. Coloro che ricorrono alle cure ospedaliere sono, generalmente, persone sopra i 50 anni che devono risolvere le complicanze più gravi generate dalla Covid-19 e, senza il ricovero, rischierebbero danni gravi o di andare ad ingrossare la lista delle morti premature. Per avere un'idea del problema, ricordo i numeri: circa il 5% degli attualmente positivi richiede un trattamento ospedaliero. Circa il 10% delle persone ricoverate deve ricorrere al trattamento di terapia intensiva. Senza immunità di gregge, i numeri diventano imponenti. Nel caso dell’Italia il contagio dell’1% della popolazione italiana (circa 600.000 persone) comporta 30.000 ricoveri di cui 3.000 in terapia intensiva. Sono più o meno i numeri attuali. Con questi numeri gli ospedali italiani vanno fatalmente in crisi non riuscendo più a garantire la necessaria assistenza per tutte le altre patologie. Anche il ricovero in terapia intensiva dopo un incidente stradale (che può coinvolgere specialmente i giovani) può diventare un problema. Senza una vera immunità di gregge (che solo la vaccinazione di massa potrà garantire)  un sistema economico non può andare avanti “come se nulla fosse”.
  3. Qualsiasi azione fatta per limitare la circolazione del virus non produrrà effetti prima di almeno due settimane. Inoltre non  bisogna mai dimenticare che la pandemia non è un sistema lineare e quindi non c’è un rapporto di proporzionalità tra azioni fatte e risultati ottenuti. Capisco che questo punto non è facile da comprendere soprattutto per chi non ha una adeguata competenza matematica, ma rimango sempre strabiliato quando vedo i decisori politici rimandare le decisioni o dichiarare che hanno assunto decisioni proporzionate alla gravità della situazione. Vuol dire che non hanno capito proprio nulla e che non hanno neppure vicino a loro consulenti tecnici che li aiutino a comprendere le conseguenze delle loro azioni. Come abbiamo visto molte volte, il risultato di questo modo di procedere è quello di non agire prontamente quando serve e magari di infliggere inutili limitazioni “a buoi scappati”. Il Trentino, da questo punto di vista, è un esempio da manuale.
  4. Senza vaccini e medicinali specifici, l'unica possibilità di “convivere con il virus” è quella di tenere la circolazione del virus sotto a livelli tali da consentire un efficace tracciamento dei nuovi contagi. A livello internazionale si parla di massimo 50 nuovi contagi settimanali per ogni 100.000 abitanti (circa 1/10 del livello attuale del Trentino), ma il valore dipende da tanti fattori. Primo fra tutti la capacità di tracciamento. Ricordate il Trentino che a settembre aveva un sistema di tracciamento dotato di due sole linee telefoniche? Per trattare adeguatamente i contagi non bastano le tecnologie primitive da call center telefonico. Serve un sistema di trattamento dei dati tecnologicamente avanzato, l’integrazione di informazioni provenienti da fonti diverse, una dotazione adeguata di personale e una stretta sinergia con il sistema di medicina territoriale (che deve essere in grado di seguire i sintomatici non gravi nelle loro abitazioni o in appositi Covid-hotel, senza intasare i reparti ospedalieri). Tutte cose che sapevamo benissimo già durante la scorsa estate, anche se non abbiamo fatto nulla per preparaci al possibile arrivo della seconda ondata.
  5. In attesa della terza ondata. Sperando che le ormai prossime festività di fine anno non si trasformino in un prezioso alleato del virus producendo un effetto simile a quello osservato in USA durante il recente Thanksgiving, non dobbiamo dimenticare che il rischio di una terza ondata ci sarà almeno fino alla prima metà del 2021. La prima ondata è stata descritta come uno tsunami imprevedibile, la seconda ondata è ancora in corso ed ha prodotto danni sanitari ed economici confrontabili con la prima. Tutti però sembrano rallegrarsi di aver evitato un secondo lockdown duro e qualcuno si rallegra per avere eluso le pur blande norme nazionali contribuendo a trasformare il Trentino in una delle Regioni/PPAA che sono riuscite a raggiungere i livelli di danno peggiore sia nella prima che nella seconda ondata. Riusciremo almeno a impedire una terza ondata o quantomeno a mitigarne i danni?

5 commenti:

  1. Buongiorno. Per quanto riguarda la situazione della Svezia non penso sia del tutto corretto riportare un commento del Re Gustavo. E' come se un commentatore estero parlando dell' Italia ribadisse quanto detto da Salvini o qualsiasi altra persona non allineata con il governo. I numeri della Svezia sono noti ed è non molto corretto paragonarli alla Norvegia, piuttosto paragoniamoli all'Italia,al Belgio o all'Olanda.

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  2. Il re parlava nell'ambito di messaggio alla Nazione e non come capo di un partito politico. Il confronto con il capo di un partito politico mi sembra inappropriato (indipendentemente dal partito politico scelto).

    Quanto al confronto con gli altri Paesi non bisogna mai dimenticare che la diffusione della pandemia è legata alla interazione tra le persone. Quindi dipende molto da fattori come, ad esempio, la densità di popolazione, l'organizzazione sociale ed in particolare l'intensità di relazione tra diverse classi d'età, l'indice di vecchiaia della popolazione. Proprio per questo non ha molto senso confrontare i dati della Svezia con Paesi come Italia, Belgio e Olanda. Controllare la circolazione del virus nel centro di Napoli o nelle lande desolate del Nord della Svezia è tutta un'altra storia. Affinché abbia senso, il confronto va fatto con realtà geografiche il più possibile omogenee, che magari hanno adottato approcci alla limitazione della circolazione del virus completamente diversi rispetto alla Svezia. Norvegia e Finlandia sono il riferimento naturale per la Svezia.

    Quanto poi a cosa usare per fare il confronto, piuttosto che i numeri ufficiali, meglio utilizzare i dati relativi all'eccesso di mortalità innescato dalle ondate pandemiche (vedi EuroMOMO). Questo Re Gustavo lo ha capito benissimo.

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  3. Un lettore del giornale L’Adige ha proposto le sue perplessità sul grande screening di massa attuato in Alto Adige.

    Alto Adige: è stato utile il test di massa?

    Egregio Direttore, nelle scorse settimane a nord di Salorno è stato fatto uno screening di massa sul Covid. Anche lei si era detto favorevole. Volevo chiederle, alla luce dei dati che provengono da Bolzano, quali sono i risultati ottenuti da questi controlli massicci e se ritiene ancora utile lo screening.

    Gianni Alberani - Rovereto

    ++++++++++++++++++++++++++++++

    La risposta del Direttore, Alberto Faustini.

    Ha dato fiducia alla popolazione

    Sì, sono ancora favorevole. E cerco di motivarle la mia risposta, tornando su un tema che ho affrontato in più di una risposta in questa pagina e in più di un editoriale. È vero che Crisanti e altri hanno detto che quel test andrebbe effettuato più volte a distanza di giorni per essere attendibile e affidabile. Proprio martedì, peraltro, il professor Pregliasco - virologo non solo autorevole, ma anche pacato - mi parlava un gran bene dell’idea di Kompatscher.

    Ma io ho visto una cosa diversa, in Alto Adige. E di questo ho parlato. Ho visto mamma Provincia che tornava mamma e che accudiva gli altoatesini, dando loro un po’ di ottimismo, un po’ di speranza (e le assicuro che questo è il dato che più mi ha colpito, perché in Trentino vedo solo un gran pessimismo e molto dolore) e anche qualche buon dato scientifico.

    L’obiettivo non era quello di risolvere il problema, ma quello di fotografare una situazione, rincuorando tanti cittadini e individuando e bloccando per dieci giorni a casa molti “pericolosi” asintomatici. Io stesso, che non avevo mai fatto un test di questo tipo, ne sono uscito molto sollevato. Ora l’Alto Adige ha intenzione di proseguire, andando a ripetere il test in aree specifiche e su un campione comunque rappresentativo di popolazione. Ma io ho visto persone in coda sorridenti.

    Nulla di scientifico, lo so. Ma un sorriso può cambiare un giorno, una settimana, una vita. Inoltre il test è costoso ed è spesso difficile farlo. In Alto Adige ha pensato a tutto la Provincia. Dunque sì, resto proprio favorevole. Anche se più di un medico dice che s’è trattato di fumo negli occhi. Meglio però di una rotatoria (visto che continuo a pensare che governare non sia asfaltare), mi creda.

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  4. Concordo con il direttore Faustini sul fatto che lo screening di massa abbia contribuito a sensibilizzare i cittadini dell'Alto-Adige sul problemi della pandemia ed, in particolare, sul ruolo dei contagi portati dagli asintomatici. Poiché la diffusione del virus dipende molto dai comportamenti individuali, tutto quello che contribuisce a rendere la popolazione più attenta e prudente è certamente utile.

    Da un punto di vista strettamente tecnico, ho spiegato in un post precedente come quasi 2000 dei "positivi" trovati durante lo screening di massa in Alto-Adige potrebbero essere stati falsi positivi. L'Alto-Adige ha perso una occasione d'oro per approfondire questo tema: bastava sottoporre immediatamente a tampone molecolare i positivi antigenici asintomatici trovati durante lo screening. Le Autorità sanitarie bolzanine, da me interpellate, mi hanno risposto dicendo che la cosa non "rientrava tra gli obiettivi dello screening". Forse sarebbe stato imbarazzante trovare troppi falsi negativi.

    I test antigenici rapidi vanno bene per testare persone con sintomi. Applicati ad una intera popolazione danno risultati poco attendibili, a meno che la circolazione del virus non sia altissima (parliamo di qualche punto percentuale).

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  5. (da La Stampa)

    "Non possiamo prevedere i tempi, ma vaccinarsi è l'unica strada. La matematica però ci può aiutare a rendere il piano di somministrazione dei vaccini più efficace e razionale".

    Così Giovanni Sebastiani, matematico e ricercatore del CNR spiega la proposta di un modello matematico (elaborato in collaborazione con l' AIFA ) che possa conciliare due esigenze: "O privilegiamo la tutela delle persone fragili e riduciamo i morti oppure arginiamo la diffusione del contagio nei prossimi mesi".

    Spiega Sebastiani come siano due obiettivi entrambi necessari ma in qualche modo opposti: "O cominciamo a vaccinare le persone attive, che si muovono, i più giovani, quelli che maggiormente diffondono il virus, oppure iniziamo dalle persone più anziane.

    Con i modelli matematici e inserendo sia gli obiettivi che le variabili, abbiamo la previsione su come procedere, con varie possibilità. Spetterà però alla politica decidere sulle priorità".

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