sabato 27 febbraio 2021

Segnalazione: una o due dosi vaccinali?

Vi segnalo una serie di articoli pubblicati dal Corriere della Sera nei quali vengono discusse le possibili strategie di somministrazione dei vaccini, anche alla luce delle potenziali criticità legate alla diffusione di nuovi ceppi virali.

Molti, anche in Italia, si stanno ponendo il problema del possibile slittamento temporale della seconda dose vaccinale, in modo da somministrare almeno una prima dose al maggior  numero possibile di persone. I risultati che provengono dalla Gran Bretagna ed anche quelli parziali provenienti da Israele (che comunque somministra di norma la seconda dose nei tempi canonici) dimostrano che la prima dose assicura una buona copertura rispetto alle forme più gravi di Covid-19. L'opzione "inglese" potrebbe essere presa in seria considerazione per ridurre la saturazione del sistema sanitario nazionale se le azioni di contenimento della circolazione del virus (zone "colorate") continuassero a non produrre risultati significativi.

Il problema, come sottolineato da molti esperti, è che il beneficio potrebbe essere solo temporaneo. Esiste il rischio di innescare la circolazione di nuovi ceppi virali che potrebbero -  a medio termine - rendere inefficace l'azione dei vaccini attualmente disponibili. In altre parole, rischieremmo solo di "comprare tempo" e di dover affrontare nel prossimo inverno una nuova massiccia ondata pandemica, avendo depotenziato la nostra arma di punta ovvero i vaccini.

Si potrebbe pensare di usare la strategia monodose per ottenere comunque un beneficio a breve termine, salvo ripensare per tempo alla formulazione dei vaccini in modo da renderli efficaci anche con i nuovi ceppi virali. In fondo è un po' quello che facciamo ogni anno con il vaccino per la normale influenza.

A questo punto, si innescano nuovi potenziali problemi, specificamente legati ad una particolare categoria di vaccini, quelli che fanno uso di adenovirus come vettori. Vaccini come AstraZeneca, il russo Sputnik V, l'italiano in fase di sviluppo Reithera e l'americano Johnson & Johnson che dovrebbe diventare disponibile tra poche settimane, usano tutti tecniche simili: si parte da un adenovirus di origine umana o animale (tipicamente scimpanzé), lo si depotenzia in modo da renderlo innocuo per la persona che viene vaccinata e lo si modifica inserendo un gene che codifica una proteina specifica di SARS-CoV-2. Il problema di tutti questi vaccini è che il virus vettore, pur essendo innocuo per gli esseri umani, viene comunque riconosciuto dal sistema immunitario che tende ad eliminarlo prima che raggiunga le cellule bersaglio e produca le proteine di SARS-CoV-2. In pratica, lo stesso sistema immunitario tende a distruggere il vaccino prima che produca il suo effetto.

Ci aspettiamo che questo problema sia maggiore in caso di somministrazione di due o più dosi vaccinali. Infatti il sistema immunitario - istruito al momento della somministrazione della prima dose - agirebbe in modo più mirato. Non a caso, il vaccino russo Sputnik, che tra tutti i vaccini basati su adenovirus sembra essere quello che ha dimostrato la migliore efficacia, utilizza due adenovirus diversi per la prima e la seconda dose. 

Dal punto di vista pratico, sarebbe meglio usare un vaccino basato su uno specifico adenovirus una sola volta, esattamente come fa Johnson & Johnson. In generale, pensare ad un uso "seriale" di vaccini basati su adenovirus non è una buona idea, a meno che - ogni volta - non si usi un adenovirus diverso (e non comunemente diffuso tra la popolazione). Insomma, una questione tecnicamente complessa.

Il problema non esiste per i vaccini basati sulla tecnologia ad mRNA, ma se i vaccini a virus vettore dovessero risultare inefficaci per un uso seriale vorrebe dire che in futuro le nostre fonti di vaccini potrebbero essere meno estese di quanto non siano oggi.


3 commenti:

  1. Vaccini, Bertolaso: “Dopo gli over 80, le dosi vadano a chi lavora” - Cartabellotta, Fondazione Gimbe: “Così rivoluziona le priorità sanitarie ed etiche: ma prima ci sono anziani e fragili”
    ilfattoquotidiano.it - 27 Febbraio 2021

    “Fermo restando che medici, infermieri e RSA devono essere vaccinati, ci sta anche che si facciano gli over 80. Ma poi non si può continuare a scendere seguendo la fascia anagrafica“.

    Solo l’1,1% dei morti in Italia ha meno di 50 anni e solo il 3,1% non aveva altre patologie, ma Guido Bertolaso, ora consulente della Lombardia per il piano vaccinale, è convinto che - una volta terminata la campagna per gli over 80 - si debbano somministrare le dosi A CHI LAVORA.

    La sua premessa - spiega in un’intervista all’Eco di Bergamo - è che “il Paese deve ripartire. Quindi sotto con chi lavora, chi sta in fabbrica, chi si muove, chi non ha potuto lavorare in questi mesi come bar e ristoranti”. Bertolaso propone quindi di stravolgere LE PRIORITA’ STABILITE: “Lo so, mi spareranno addosso, ma questa cosa va detta…”, sottolinea all’Eco di Bergamo.

    Ad oggi il piano vaccinale italiano prevede che dopo la fase 1 (vaccinazione di operatori sanitari, personale ed ospiti di RSA e over-80), si proceda con le somministrazioni alle altre categorie più a rischio, partendo dalle persone estremamente vulnerabili, che per le loro patologie hanno un rischio particolarmente elevato di sviluppare forme gravi o letali di Covid. Subito dopo viene la categoria di età compresa tra 75 e 79 anni, per poi passare alle persone tra 70 e 74 anni.

    Nel frattempo, tra l’altro, con il vaccino AstraZeneca – che per l’AIFA ad oggi non può essere somministrato a persone sopra i 65 anni – è già cominciata IN PARALLELO la vaccinazione dei lavoratori appartenenti ai servizi essenziali, come forze dell’ordine e insegnanti.

    Il piano strategico però ha individuato queste categorie sulla base dei dati su pazienti gravi e decessi:
    - in Italia l’età media delle persone morte per Covid è 81 anni; i morti si concentrano soprattutto tra gli over 80 e poi nelle persone poco più giovani: il 35% dei morti in Italia aveva tra 60 e 79 anni;
    - solo l’1,1% dei deceduti erano persone di età inferiore ai 50 anni (941 decessi al 27 gennaio): significa che vaccinare chi ha meno di 50 anni non serve a evitare nuovi morti;
    - il piano di vaccinazione prevede inoltre che la priorità nella Fase 2 vada a chi ha gravi patologie: anche in questo caso, i dati al 27 gennaio mostrano che solo il 3,1% del totale dei morti non aveva nemmeno una patologia oltre al Covid.

    La deputata Elena Carnevali, capogruppo PD in commissione Affari sociali di Montecitorio ha dichiarato: “Ricordo al commissario Bertolaso che con i vaccini Pfizer e Moderna va conclusa la campagna per il personale sanitario e degli ospiti e personale delle RSA e gli over 80 che in Lombardia è iniziata DA POCO e LENTAMENTE”.

    Dopo la Fase 1 - ricorda Carnevali - “il Piano vaccinale prevede prioritariamente ‘le categorie di individui con aumentato rischio clinico‘, cioè persone immuno-depresse, diabetici, oncologici, persone con disabilità - e noi vorremmo vaccinati anche i loro caregiver... - cioè tutti coloro che vengono indicati come ESTREMAMENTE VULNERABILI”.

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  2. Coronavirus, la “rivoluzione” di Ferro per dare una svolta alla campagna vaccinale: “Un’unica dose per la fascia d’età 65-79 e per chi si è già ammalato”
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    Tiziano Grottolo – ildolomiti.it - 02 marzo 2021

    La campagna vaccinale sta procedendo troppo lentamente, ecco la “ricetta” di Ferro per cambiare passo: “Recuperare più dosi e valutare la possibilità di offrire un’unica somministrazione alla popolazione tra i 65 e 79 anni in modo da riuscire in fretta a coprire questa coorte di età”

    Procedendo con questi ritmi, per vaccinare il 70% della popolazione trentina e raggiungere la cosiddetta “immunità di gregge” si finirebbe a ottobre 2023. Un tempo infinito considerando che la pandemia corre veloce e soprattutto tende a mutare di frequente. Per non perdere questa “corsa” dunque è necessario un cambio di passo.

    Anche Antonio Ferro direttore del dipartimento prevenzione di Apss, in veste di presidente della Società Italiana di Igiene Medicina Preventiva e Sanità Pubblica, ha chiesto che si faccia qualcosa. Secondo il direttore del dipartimento prevenzione di APSS:
    - “coloro che hanno avuto un’infezione da Covid devono ricevere un’unica dose dopo almeno 4 mesi dal tampone di guarigione”

    - inoltre bisogna impegnarsi per recuperare le “dosi in più” che si possono ottenere dai flaconcini dei vaccini grazie a siringhe di precisione, che però non sempre sono disponibili. “Dobbiamo recuperare il più possibile la settima dose dal vaccino Pfizer/BioNTech e l’undicesima dose da quelli di Moderna e AstraZeneca”.

    - infine, “bisogna valutare la possibilità di offrire un’unica dose di vaccino Pfizer/BioNTech o Moderna alla popolazione tra i 65 e 79 anni in modo da riuscire in fretta a coprire questa coorte di età”. Il motivo è semplice: “Le coorti di età sopra i 65 anni da sole costituiscono il 70% dei ricoveri e più del 95% dei morti”.

    Resta da capire se in poco tempo sia possibile ricalibrare una campagna vaccinale che già in queste condizioni stenta a decollare. Le incognite non sono poche, senza dimenticare che c’è anche un problema strutturale, infatti per accelerare con la somministrazione delle dosi servono strutture adeguate, personale ma soprattutto un’organizzazione migliore.

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    1. Sul fatto di somministrare solo una dose a chi ha già fatto la malattia, mi sembra che ci sia un ampio consenso.

      Sul fatto di somministrare una sola dose a tutti seguendo l'esempio inglese, mi sembra che il dibattito sia aperto e che ci siano ancora molte incognite non definite.

      Per fortuna, sembra che la compagna vaccinale passi dalla gestione territoriale ad una dimensione unica nazionale e, in tale ambito, sarà possibile confrontare le opinioni diverse che gli esperti hanno sull'argomento, senza dipendere dalle decisioni di 21 vertici burocratici regionali.

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