Navigando tra i siti internet di ispirazione no-vax, emerge una nuova linea propagandistica specificamente orientata contro la somministrazione della terza dose vaccinale.
Il tutto è accompagnato dalla diffusione di fake news che riguardano i vaccini ad mRNA (gli unici attualmente utilizzati in Europa per la somministrazione delle terze dosi vaccinali). Il messaggio che gira è del tipo: "vi è andata bene (forse) con le prime due dosi, ma non sfidate la fortuna perché la terza dose potrebbe esservi fatale". L'affermazione è assolutamente priva di senso e contrasta con tutti i dati disponibili sugli effetti avversi collegati alla somministrazione del richiamo vaccinale (sostanzialmente simili rispetto a quelli riscontrati dopo la seconda dose). Ma la propaganda no-vax non va tanto per il sottile e non si preoccupa sicuramente di riportare notizie certe e verificate.
Non è chiara la logica che sta dietro a questa nuova campagna propagandistica. Ricordo che i non vaccinati hanno - in assoluto - la maggiore probabilità di contrarre forme gravi di contagio, tali da comportare un ricovero ospedaliero o un decesso. Subito dopo i non vaccinati, seguono - sia pure con una probabilità decisamente inferiore - coloro che hanno effettuato la vaccinazione più di 5 mesi fa.
È chiaro che, con il passare delle settimane, aumenta il numero di coloro che hanno superato la soglia dei 5 mesi dall'ultima inoculazione. Quelli che rinunciano a farsi somministrare la dose di richiamo vanno fatalmente a finire tra le categorie a più alto rischio di grave contagio.
Se la propaganda no-vax riuscisse a convincere molti italiani a non fare la terza dose, crescerebbe la quota dei ricoverati e dei deceduti che risultano ufficialmente "vaccinati", sia pure con sole 2 dosi. Dal punto di vista dei no-vax l'operazione sembrerebbe rientrare nella categoria "mal comune, mezzo gaudio".
Non sarebbe invece un gaudio per il resto degli italiani che si troverebbero i reparti ospedalieri saturi a causa dei malati Covid che non si sono mai vaccinati (più del 60% dei ricoverati in terapia intensiva) e da coloro che non hanno fatto il richiamo nei tempi previsti (la quota sta variando in funzione del tempo ed attualmente corrisponde a circa il 20% dei ricoverati in terapia intensiva).
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