I quasi 2 anni di pandemia hanno avuto un pesante impatto sul Sistema sanitario nazionale. Le diverse ondate pandemiche hanno creato situazioni che - soprattutto in alcune Regioni/PPAA - sono diventate molto critiche, acuendo, in generale, le difficoltà preesistenti e mettendo allo scoperto alcuni nodi strutturali, irrisolti da tempo.
Spesso sentiamo parlare di emergenza sanitaria legata alla pandemia, anche se non tutti condividono la stessa idea su cosa sia veramente tale emergenza. Credo che possa essere utile andare a vedere alcuni numeri che possono aiutarci a capire meglio i termini del problema.
Partirei - innanzitutto - dal numero dei decessi causati dalla Covid-19, anche se - paradossalmente - credo che questo tragico numero non sia di per sé rappresentativo di una vera e propria "emergenza sanitaria". I dati ISTAT mostrano che, nel corso del 2020, la pandemia ha causato, a livello nazionale, un aumento di oltre 100.000 morti rispetto al livello medio osservato negli ultimi 5 anni, prima dell'arrivo della Covid-19. Complessivamente sono stati registrati quasi 750.000 decessi, il livello più alto registrato in Italia nel secondo dopoguerra.
Il grosso dell'eccesso di mortalità è stato registrato (76% del totale) tra persone con almeno 80 anni di età. Questo non significa che si tratti di persone molto anziane e malate per le quali il contagio ha prodotto l'anticipo di poche settimane di un trapasso che sarebbe comunque avvenuto anche senza la pandemia. Poiché i dati ISTAT confrontano il livello dei decessi su base annuale, solo una parte dei decessi avvenuti nel mese di dicembre 2020 possono rientrare in questa categoria. Tutti gli altri casi riguardano persone che - a causa della Covid-19 - hanno perso molti mesi o anni di vita, oppure persone che non sono state neppure contagiate e sono morte a causa di altre gravi patologie che il Sistema sanitario italiano non è riuscito a curare in modo adeguato.
Oggi, grazie ai vaccini, il numero dei decessi si è significativamente ridotto. Nel mese di ottobre 2021, l'Istituto Superiore di Sanità ha registrato circa 1.000 decessi attribuiti alla Covid-19. Lascio giudicare a chi legge se questo numero sia piccolo o grande rispetto ai circa 60.000 decessi che si registravano in Italia, durante lo stesso periodo di tempo, prima della pandemia. Mi limito a ricordare che nello stesso periodo dell'anno 2020, quando l'Italia iniziava ad applicare le prime chiusure autunnali, l'eccesso di mortalità legato alla pandemia era stato pari a circa 5.000 casi.
Con tutto il rispetto per le vittime della Covid-19, vorrei sottolineare che per parlare di "emergenza sanitaria", più che il dato dei decessi causati dalla Covid-19, contano soprattutto le criticità riscontrate negli Ospedali che - impegnati nell'assistenza dei malati Covid-19 - sono costretti a interrompere o a rimandare altre attività necessarie per la prevenzione e la cura di tutte le altre patologie.
Un discorso tipico è quello che riguarda l'occupazione dei reparti di terapia intensiva. Prima della pandemia, in Italia c'erano circa 5.000 posti letto di terapia intensiva, con alcune carenze strutturali distribuite a livello territoriale. Con l'arrivo del virus, i pochi posti disponibili sono stati quasi subito saturati ed è scattata l'affannosa rincorsa ai respiratori polmonari che, nel marzo 2020, erano merce rara. Oggi, almeno sulla carta, disponiamo di oltre 9.000 posti di terapia intensiva, anche se sappiamo che questa stima è - in alcune Regioni/PPAA - davvero molto ottimista. Nel senso che le stanze ed i respiratori polmonari magari ci sono, ma poi per farli funzionare servono medici ed infermieri specializzati che non si trovano dietro l'angolo (a meno che non si chiudano altri reparti ospedalieri).
È di oggi la notizia che l'ospedale Santa Chiara di Trento ha dovuto nuovamente chiudere il reparto di Pneumologia per spostare il personale all'assistenza dei malati di Covid-19. Questo è esattamente quello che intendo per emergenza sanitaria, non ancora grave per fortuna, ma comunque emergenza.
Il sistema di classificazione del "colore" attivato attualmente per le Regioni/PPAA tenta di evidenziare le situazioni di emergenza sanitaria sulla base di appositi parametri. È stato finalmente abbandonato l'utilizzo di parametri epidemiologici come il famoso Rt che è stato utilizzato a lungo - a mio avviso in modo concettualmente sbagliato e fortemente distorsivo - per caratterizzare l'andamento della pandemia in Italia. I nuovi parametri, basati sul grado di occupazione dei posti letto "disponibili", pur essendo facilmente manipolabili da parte dei burocrati delle Sanità regionali (basterebbe, ad esempio, vedere quanti ricoveri ufficialmente classificati come pre-intensivi, siano in realtà veri e propri ricoveri in terapia intensiva), sono comunque più "robusti" del vecchio Rt e ci danno un'idea migliore del livello di pressione che i malati Covid stanno esercitando sul sistema ospedaliero.
Attualmente Friuli V. G. e Alto Adige sono già passati da zona "bianca" a zona "gialla". Come si vede dal grafico mostrato qui sotto, la prima soglia di allarme sanitario (passaggio da zona "bianca" a zona "gialla") è già "a portata di mano" per molte Regioni che potrebbero finire in zona "gialla" prima di Natale (la Calabria forse già la prossima settimana). Un ulteriore peggioramento potrebbe far scattare la successiva zona "arancione" che prevede restrizioni molto più severe, con un forte impatto sulla vita economica e sociale.
Stato attuale dei livelli di occupazione dei reparti Covid degli ospedali italiani. Il dato del Trentino (evidenziato con il cerchio rosso) è leggermente peggiore rispetto alla media nazionale (punto verde) ed è già abbastanza vicino alla soglia di occupazione limite per i reparti di terapia intensiva (10%). Il passaggio in zona "gialla" avviene quando si finisce nel quadrante giallo in alto a destra (ambedue i parametri sopra la soglia di allarme). Elaborato su figura Agenas |
Per prevenire questa deriva bisogna somministrare al più presto possibile le terze dosi vaccinali, completare la vaccinazione dei più giovani e convincere i residui "no-vax" a farsi inoculare, soprattutto quelli sopra i 40-50 anni.
Se fossimo più avanti con il programma vaccinale, il numero dei ricoveri sarebbe almeno dimezzato e la maggioranza delle Regioni/PPAA sarebbe ancora nella zona in basso a sinistra del grafico, lontano dal rischio di finire in zona gialla. Perché - è sempre bene ricordarlo - i vaccini non prevengono i contagi gravi al 100%, ma li riducono significativamente: non a caso i reparti Covid di terapia intensiva sono pieni di no-vax, mentre - nel corso delle ultime settimane - sta crescendo la quota dei vaccinati ad inizio 2021 che non hanno ancora fatto la terza dose vaccinale.
Come al solito, è la prevenzione che fa la differenza. Semplice, non vi pare?
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