Il tema ha molte sfaccettature e solleva molti dubbi anche tra gli addetti ai lavori.
Durante i picchi pandemici, quando i reparti Covid si riempiono, gli ospedali sono costretti ad annullare o rimandare le cure da prestare ai pazienti affetti da altre patologie. Questi interventi possono avere un costo - in termini di vite umane - anche rilevanti. Sorge spontanea la domanda: "è giusto mettere a rischio la vita degli altri pazienti per dare la priorità alla cura dei pazienti Covid che volontariamente hanno rifiutato il vaccino?".
Il problema non si pone per i no-vax davvero irriducibili che rifiutano ogni forma di terapia "ufficiale" e quindi in ospedale non ci finiscono mai, anche a costo di perdere la vita. Ma tutti gli altri no-vax - quando sentono mancare il respiro - corrono in ospedale ed occupano posti letto preziosi.
Rinviare le terapie non Covid può comportare costi molto pesanti. Ad esempio, rimandare anche di sole 4 settimane un intervento di chirurgia per un malato di tumore può significativamente abbassare i suoi tempi di sopravvivenza. Nasce quindi un chiaro conflitto etico: "curo prioritariamente il non vaccinato affetto da Covid-19 che ha un rischio di morte immediato molto elevato, oppure riservo il posto di terapia intensiva per il trattamento post-operatorio dei pazienti oncologici?".
Questo tema - che non è, lo ripeto, di facile soluzione - viene affrontato in un articolo scritto da William F. Parker, pubblicato su Annals of the American Thoracic Society, che segnalo a tutti coloro che volessero approfondire la questione.
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