venerdì 29 gennaio 2021

Caos sui dati delle vaccinazioni: un caso sfortunato o il risultato di un metodo di raccolta dei dati impreciso e lacunoso?

Quando alla fine del 2020 è ufficialmente partita la campagna vaccinale anti-Covid è immediatamente scattata tra i presidenti di Regione/PA la gara a chi vaccinava di più. Pura fuffa propagandistica perché il ritmo delle vaccinazioni è stato fin qui scandito dall'arrivo delle dosi vaccinali e questo è attualmente l'unico vero collo di bottiglia. 

La vera stima dell'efficienza dimostrata da Regioni/PA la potremo fare solo quando saranno disponibili tutte le dosi necessarie e allora vedremo chi riuscirà ad organizzare un sistema di somministrazione dei vaccini veramente adeguato ai bisogni (senza ovviamente bloccare le campagne vaccinali ordinarie che sono altrettanto importanti). 

Nel frattempo la Fondazione Gimbe è andata a curiosare tra i dati ufficiali delle vaccinazioni, scoprendo che ci sono enormi differenze, a livello regionale, nella distribuzione per categorie dei fortunati che hanno già ricevuto il vaccino.

Elaborazione GIMBE su dati del Ministero della Salute

Sono immediatamente scattate le polemiche. Il dato ha sollevato numerosi interrogativi soprattutto in Lombardia, già scossa dalle recenti discussioni sulla stima dell'indice Rt secondo "il rito ambrosiano".

Sono già arrivate le giustificazioni secondo cui "i dati ministeriali non corrisponderebbero alla realtà". La verità è che il Ministero della Salute non si inventa i dati come se fossero numeri estratti al Lotto, ma usa semplicemente i dati inviati da Regioni/PPAA. 

Quando i dati diffusi a livello ministeriale sono discordanti rispetto a quelli reali, ci possono essere solo tre spiegazioni:

  1. Le Regioni/PPAA si sono dimenticate di aggiornare i dati.
  2. Le Regioni/PPAA hanno inserito dati sbagliati a causa di errori materiali (iniziando dai banali errori di battitura fatti da chi compila materialmente i form ministeriali, da 'copia e incolla' sballati, da numeri dettati per telefono o mandati via fax, pochi controlli di spunta con la penna rossa...).
  3. I dati sono stati intenzionalmente manipolati per eludere i controlli ministeriali.
Il caso dei vaccini è solo l'ultimo di una lunga serie ed è direttamente legato al sistema tecnologicamente arretrato con cui in Italia raccogliamo i dati relativi alla pandemia. In particolare, ci sono troppi passaggi manuali che, oltre ad uno spreco immenso di tempo e denaro, sono anche alla base di molti errori che vanno ad incidere pesantemente sulla qualità dei dati. 

Potremmo domandarci perché, a quasi un anno dall'inizio della pandemia, stiamo ancora lavorando con fogli Excel ed altri strumenti informatici inadeguati rispetto ai reali bisogni. 
 
Si tratta di una bella domanda ed io - per dirvela francamente - ho solo una risposta che va ben oltre i confini ristretti della pandemia.

L'Italia (ed il Trentino in particolare, aggiungo io) ha abbondanza di competenze qualificate (sia nei laboratori di ricerca informatica, sia nelle imprese del settore) che avrebbero potuto costruire un sistema di raccolta e prima analisi dei dati rapido, efficace ed economico. Oltre ad avere dati migliori, avremmo ridotto drasticamente le risorse che oggi sprechiamo per pagare burocrati di scarsa utilità e che potrebbero essere dirottate verso i settori operativi della Sanità.

Forse è proprio questo il punto debole del sistema. La nostra burocrazia ridondante e arretrata tecnologicamente preferisce utilizzare strumenti tecnologici arcaici anche perché, se arrivassero gli esperti di big data e di intelligenza artificiale, molti posti inutili e molto ben pagati verrebbero spazzati via. 
 
Questo non vuol dire affatto che dovremmo sostituire la burocrazia con un computer. Uno Stato moderno ha bisogno di una burocrazia snella e produttiva, che sappia utilizzare le tecnologie più avanzate e che si preoccupi di dare efficienza al sistema invece di aiutare il politico di turno ad eludere le leggi.

La ricetta - a mio avviso - sarebbe facilmente realizzabile. Purché nel Bel Paese prendessimo finalmente coscienza del fatto che dopo aver passato un decennio a prendercela con la "Kasta" abbiamo ottenuto il ben magro risultato di mettere spesso al potere politici incapaci, succubi di una burocrazia che non sa gestire il presente e tanto meno il nostro futuro.

1 commento:

  1. Digitalizzare le Rsa per proteggerle meglio
    Giampaolo Armellin – editorialedomani.it - 31 ‎gennaio 2021

    Introdurre in modo comprensibile il tema della trasformazione digitale nei servizi sanitari e socio-sanitari non è cosa semplice. Queste tecnologie sono già presenti, con diversa diffusione e maturità, in molteplici servizi sanitari, in particolare negli ospedali. Tuttavia, c’è un mondo da esplorare fuori dall’ospedale, sul territorio. Si tratta dell’assistenza di lungo termine (“long term care”, LTC) per anziani, persone affette da cronicità o disabilità. Ci siamo accorti in modo drammatico dell’esistenza del mondo LTC come conseguenza della pandemia di Covid-19 e le notizie del suo impatto sulle RSA.

    Ma il fenomeno LTC è molto ampio: considerando solo le persone over 65, nel nostro Paese, se ne stimano 2,9 milioni con fabbisogno di cure a lungo termine; includendo le famiglie e congiunti di queste persone, possiamo considerare circa 10 milioni, un sesto della popolazione italiana coinvolta direttamente o indirettamente in questo tipo di cura.

    Di converso, i servizi LTC realizzano un’offerta molto eterogenea e frastagliata, che si caratterizza come domiciliare e di lungo-degenza e che copre soltanto circa il 40 per cento del fabbisogno (ad esempio, i posti letto nelle RSA sono circa 300mila, cioè circa il 10 per cento del fabbisogno). I nostri servizi LTC sono frammentati e debolmente collegati: mancano reti stabili su cui far perno per rispondere adeguatamente alle necessità delle persone.

    Il Covid-19 non è la causa del malessere del sistema LTC, è invece l'evento che ha messo in luce un sistema ancora immaturo nella sua governance, che manca di un efficace modello d’integrazione tra i vari servizi sanitari e sociosanitari presenti sul territorio, valorizzandone tutte le competenze e capacità.

    Perciò, quale trasformazione digitale possiamo immaginare per i servizi LTC? Al netto delle potenzialità espresse da tele-medicina e tele-assistenza, di cui molto e opportunamente si sta parlando, la priorità sta nell’attivazione di piattaforme digitali di gestione e trattamento dei dati, per disporre di un patrimonio informativo su persone e servizi, per rispondere adeguatamente alla complessità del fabbisogno di LTC.

    GARANTIRE integrità, qualità, autenticità e riservatezza dei dati è basilare per consentire ai servizi di dialogare proficuamente e cooperare. In primo luogo, le persone potrebbero accedere a servizi di cura e assistenza integrati tra ambito sociale e sanitario, pubblico o privato, in conformità a solidi criteri di certificazione e pubblicazione dei dati. In questo scenario, gruppi di RSA potrebbero anche offrire assistenza al domicilio, raccordandosi con enti di volontariato e strutture sanitarie territoriali. Il digitale, quindi, assumerebbe il ruolo di mediatore e raccordo tra servizi diversi, fornendo anche strumenti di analisi e programmazione per gli enti di governo regionale o nazionale.

    L’impiego di piattaforme digitali per l’erogazione dei servizi LTC renderebbe molto più improbabili I BALLETTI SUI DATI, almeno per alcuni servizi. La conoscenza dei fenomeni attraverso dati ragionevolmente certi, con qualità e provenienza certificate, sarebbe un elemento importante per assumere decisioni informate e tempestive, sia nel tempo ordinario sia di fronte a criticità imponderabili e drammatiche come la pandemia.

    L’informazione prodotta dai dati, infatti, non è altro che la riduzione dell’incertezza.

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